Esposizioni

Ogni mostra è per me un momento di condivisione profonda.
Portare le mie opere fuori dallo studio, vederle dialogare con luoghi e persone, è sempre un’emozione nuova.
Esporre significa raccontarmi, mettermi in ascolto, lasciare che la mia pittura trovi voce anche negli occhi di chi guarda.

Qui raccolgo i luoghi e i momenti in cui la mia arte ha trovato casa, anche solo per un tempo.

Ecco le foto di alcune esposizioni

 

Arte Padova

Padova

Emersione dal profondo

Teatro di Montemerano (GR)

Tutto Blu – Atelier Mara Franci

San Giovanni delle Contee (GR)

Maremma ArtExpò

Cortilone di Sorano (GR)

Miscellanea – Chiostro della Pieve di San Leolino

Panzano in Chianti (FI)

Emersione dal profondo –Arte Spazio

Galleria San Fedele (MI)

1987

Emersione dal profondo, Palazzo comunale, Santa Fiora (GR)

Emersione dal profondo, Scuole elementari, San Quirico di Sorano (GR)

1988

Emersione dal profondo,Teatro di Montemerano (GR)

1990

Emersione dal profondo, Arte Spazio, Galleria San Fedele (MI)

2010

Tutto Blu, Atelier Mara Franci, San Giovanni delle Contee (GR)

2013

Quei dialoghi blu, Casale Santo Stefano, Grosseto

2015

Miscellanea, Maremma ArtExpò, Cortilone di Sorano (GR)

2 opere, Arte Padova (CATS), Padiglione 1, stand109, Padova

2 opere, Correnti Artistiche del III° Millennio, Galleria Anacapri, Anacapri (NA)

2017

Miscellanea, Chiostro della Pieve di San Leolino, Panzano in Chianti, (FI)

Riflessioni di Carmelo Mezzasalma alla mostra al Chiosco della Pieve

di San Leolino di Panzano in Chianti (FI) del 2017

Mara Franci, “gli otto quadri blu”

di Carmelo Mezzasalma (Giugno 2017)

Nel 1909, a Murnau in Baviera, Wassily Kandinsky finiva di scrivere una delle opere più singolari che siano mai state scritte sull’arte. S’intitolava Lo spirituale nell’arte, ma non era né una dichiarazione di poetica, né un manuale di tecnica pittorica. Piuttosto, come è stato detto, è un libro di profezie laiche, in cui misticismo e filosofia dell’arte si incrociano e si confondono, quasi nel presentimento di un’arte nuova. Così, l’aurora della pittura, che Kandinsky pensa di annunciare, si riverbera nelle sue pagine alquanto incerte e divise tra luci ed ombre. In realtà, Lo spirituale dell’arte è stato il manifesto di una generazione, nonostante i suoi evidenti difetti espressivi e il suo contenuto oracolare, ed ha continuato ad esserlo lungo tutto il Novecento che ha conosciuto furori avanguardistici e, al contempo, una decadenza dell’arte forse di proporzione apocalittica.

Se lo ricordiamo qui, in occasione della Mostra di Mara Franci a S. Leolino, è perché, in quest’opera letteraria, Kandinsky introduce un tema fondamentale che è la ricerca dell’interiorità, ma in un senso molto preciso: la pittura, come ogni altra arte, è un infinito e i dogmi dell’estetica tentano inutilmente di darle quei limiti che l’artista contemporaneo non riesce o non vuole più accettare. Più precisamente, è la frase con cui si apre Lo spirituale dell’arte che resta, dopo tutto, il lascito più originale che Kandinsky consegna agli artisti di ogni tempo: l’arte è figlia del suo tempo, madre dei nostri sentimenti. L’arte, dunque, cerca sempre altre strade rispetto a quelle troppo consolidate o troppo battute, poiché le è destinato il luogo che non può essere contraddetto: il luogo di ciò che è all’origine. E l’origine è, al tempo stesso, l’oscurità della nascita e l’insopprimibile magma che vibra nell’anelito del cammino in avanti, verso l’infinito. Come il grido, inesauribile e fortunoso, della vita in noi.

Ho incontrato l’arte di Mara Franci attraverso un suo libro, Emersione dal profondo. Un viaggio alla ricerca dell’Essere dove ha raccolto il catalogo delle sue immagini e delle sue sculture, accompagnato da poesie e da scritti autobiografici che lo rendono quasi un laboratorio in atto della sua arte e soprattutto della sua personale “necessità” di fare arte. Un incontro per me certo indimenticabile e che dimostrava, al di là di ogni scetticismo di comodo, quanto la ricerca artistica, quella vera, fosse ancora viva e sia pure nelle periferie del nostro mondo luccicante del potere mediatico e digitale. E tuttavia l’impatto vero e proprio con l’arte di Mara Franci è avvenuto qualche tempo dopo, quando con Matteo Bellumori, suo cugino e amico, giunsi nel suo studio a S. Giovanni delle Contee in quella campagna maremmana timidamente assorta nel suo verde o troppo immersa nel silenzio. Furono proprio gli “otto quadri blu” a dirmi che la pittura, con le sue sole forze, poteva diventare un’arte astratta, come voleva Kandinsky, o realizzare finalmente una “composizione” puramente pittorica. Gli otto quadri blu, in effetti, stavano davanti al mio sguardo in tutta la loro pregnanza di colore e di forma, scaturita dallo stesso colore, che quasi suggerivano paesaggi accesi nell’interiorità più segreta e custoditi soltanto da una luce notturna che rimandava a una epifania misteriosa, ma accogliente e davvero “nuova”.

Mara Franci, nel suo libro, descrive efficacemente il lento e avventuroso processo, interiore ed esteriore, che l’aveva condotta a quel risultato forse inaspettato, nato peraltro nel bel mezzo di delusioni personali, ma di sicuro acceso dalle forze interiori in lotta con la vita: “… quelle altre figure che avanzano è l’altro, il nuovo che scaturisce da noi stessi, dalla nostra profondità”, scrive a un certo punto (p. 114). Di fatto, questa profondità non è qualcosa di fumoso e di evanescente, ma piuttosto la danza nascosta dei sensi della vita che si accendono misteriosamente a contatto della estrema fisicità dell’arte, del suo essere nient’altro che “destino”. Per questa ragione Georges Didi-Huberman ha potuto dire che la forza del visibile, nell’esperienza dell’arte, vive di apparizioni e di evanescenze, di affioramenti e di sparizioni. Ed è quello che sembra accadere negli otto quadri blu di Mara Franci così sospesi tra visione e pluralità di evocazione. Forse un bosco incantato nella sua luce, nato soltanto negli anfratti di una immaginazione febbrile e capace di emanare segnali di una vitalità ideale. In ogni caso è sintomatico e illuminante che, in questa artista, la pittura e la scrittura s’incontrino e si scontrino, pur restando quasi autonome l’una dall’altra, ma sottilmente legate da un movimento libero e creativo che si stampa, a conti fatti, nelle immagini della pittura con indelebile capacità evocativa, sinuosa e talvolta perfino drammatica. Colore della parola, colore dell’immagine, dunque, poiché anche il colore ha una sua vocazione. Appunto la vocazione alla profondità, così forte e struggente che, nelle sue minime gradazioni, diviene richiamo all’infinito e al contempo nostalgia di una terra per l’anima, del suo essere e del suo costruirsi nell’innocenza del vivere, del comunicarsi, dell’amare. Così le poesie che accompagnano le manifestazioni pittoriche sembrano, nella loro schietta e profonda immediatezza, voler dare a quest’ultime la “voce” del cuore ferito dalla bellezza e, per questo motivo, dilatarne i suoni nascosti e affiorati per un miracolo di quella musica che vive nel nostro immaginario più enigmatico e dimenticato. Forse è per questa ragione che lo stesso Kandinsky associava i colori alla musica, anzi agli strumenti della musica, mentre scriveva, a proposito dell’azzurro e del blu “Da un punto di vista musicale l’azzurro assomiglia ad un flauto, il blu a un violoncello o, quando diventa molto scuro, al suono meraviglioso del contrabbasso; nella sua dimensione più scura e solenne ha il suono profondo di un organo”. Un azzardo questo accostamento tra colore e musica? Piuttosto un’intuizione preziosa che conferma, nel nostro caso, quello stupore che, a uno sguardo attento, sanno donarci gli otto quadri blu di Mara Franci. Qualcosa che nasce in noi e che ci riporta al contatto con l’origine stessa del segno, del movimento, della parola e del canto in certi chiari di luna che esistono unicamente nella notte dell’anima. Tuttavia, la pittura di Mara Franci non ha soltanto l’immersione nel colore, ma anche nell’autonomia della forma. Lo si vede bene nelle sue litografie o nei disegni che manifestano

l’emergere di oggetti , reali o irreali – fiori, foglie, conchiglie, pesci, ma anche nervature del colore o geometrie ideali -, quale delimitazione astratta di uno spazio immaginario, di una superficie che tende, però, a una sua autonomia. Si direbbe che qui, che in questi disegni in perpetuo movimento, ma concentrati ed efficaci, l’artista veda una inevitabile relazione tra colore e forma, mentre vorrebbe farci notare proprio gli effetti della forma sul colore. Del resto, questa forma di Mara Franci, anche se è completamente astratta e ha la leggerezza profonda di figure contemplative, possiede anch’essa un suono interiore dal momento che la sua eleganza colpisce la nostra attenzione e ci rende partecipi del fatto che l’armonia dell’immagine è fondata, ancora una volta, dal reale ed efficace contatto con l’anima, con i suoi slanci,le sue pause, il suo inesauribile lottare contro le ombre e i fantasmi della mediocrità. Dopo tutto, Mara Franci ha veramente nel sangue la passione per l’arte e ci comunica questa passione in una pittura che ci sorprende e ci scuote per l’eleganza e la raffinatezza dei suoi movimenti interiori. Anche se, quest’arte, sembra cadere in un momento storico-culturale assai difficile e forse drammatico per le sorti o il destino dell’arte. Ma tant’è. Non ricordo,in quale parte del suo inimitabile teatro, Shakespeare fa dire a un suo personaggio: l’uomo che non ha musica interiore in se stesso conosce solo il tradimento o la frode, “ma tu credi alla musica e non a lui”. Così Mara Franci è qui tra noi perché crediamo ancora a questi squarci di luce che possono illuminare la cupa notte del nostro tempo. Come gli otto quadri blu della sua pura e vertiginosa immaginazione.

Bibliografia

A. Mello, Quei dialoghi blu, Maremma Magazine, Giugno 2013, pag. 52-54, C.S. Editore

A. Mello, Quei dialoghi Blu; A. Americo Pio: La Meraviglia: Artisti della Maremma, Novembre 2013, pag. 37-42, Toscana Cultura e Masso delle fate Edizioni

Catalogo: Contemporary Art Talent Show, Padova Fiere, 13-16 Novembre 2015, pag. 184

Emersione dal profondo, Giugno 2016, Laurum Editrice, Pitigliano (GR)